IL PRIMO MESSAGGIO DI MORAGLIA Il Patriarca ai veneti: «Troppi precari nel lavoro, vicino a chi è in difficoltà» Sabato l’insediamento a Ve...
IL PRIMO MESSAGGIO DI MORAGLIA
Il Patriarca ai veneti: «Troppi precari
nel lavoro, vicino a chi è in difficoltà»
Sabato l’insediamento a Venezia: mano tesa a credenti e non. «Troppe le situazioni di precarietà che coinvolgono i nostri giovani»
Il neo Patriarca
Mons. Moraglia
Carissimi, certamente per molti la venuta del nuovo patriarca segna il compiersi di un’attesa e rappresenta un momento di grazia al quale, da tempo, si stanno preparando anche spiritualmente. Per altri, invece, questo fatto rientra probabilmente fra gli eventi che li lasciano in parte o del tutto indifferenti. Si tratta, e non solo, di stati d’animo diversi che fotografano il nostro tempo e, perché no, la nostra città che, da sempre, in modo unico, svolge la funzione di ponte fra Oriente e Occidente e, quindi, si qualifica ed esprime in pluriformità e pluralità di pensiero. La Chiesa, oggi, è sempre più consapevole del pluralismo che contrassegna il contesto culturale al quale è mandata. Infatti, gli uomini e le donne a cui essa si riferisce, esprimono – in modo particolare – l’orizzonte multicolore e cangiante delle città del nostro tempo. È una Chiesa che si pone dentro la storia, ne accetta la complessità e, vedendone la frammentarietà, offre le ragioni della sua speranza: una Chiesa per il mondo e, proprio per questo, non del mondo.
In una tale situazione – certamente stimolante – nulla può esser più dato per scontato; è necessario, allora, guadagnarsi la fiducia delle persone e, tale fiducia, si lega alla testimonianza a cui sono chiamati gli uomini e le donne di Chiesa sia verso la società civile sia quella politica. Nello stesso tempo, ben radicata nel Signore risorto, la Chiesa oggi, più che mai, desidera annunciare alla città e agli uomini che la abitano, il senso del Dio di Gesù Cristo – con tutto quello che ciò comporta – e il valore e il realismo di un’antropologia che afferma la centralità dell’uomo, voluto nella sua concretezza e che viene prima d’ogni altra realtà culturale, sociale, economica. Così, entrando in diocesi, il nuovo patriarca compie il gesto simbolico – ma simbolo non significa finzione – di bussare alla porta di tutti gli uomini e donne di buona volontà: credenti e non credenti, perché il saluto, insieme a una parola di vicinanza e possibilmente d’amicizia, sono l’inizio di tante cose che, al momento, risultano umanamente imprevedibili; talune fratture, all’origine, nascono non da ostilità preconcetta ma dal semplice ignorarsi reciproco.
E il nuovo patriarca, proprio perché è mandato e non viene di sua iniziativa, può dire con forza e serenità: non sono qui da me, non sono qui per me; così per colui che è inviato, dove né la carne né il sangue lo avrebbero mai condotto, si aprono grandi spazi di libertà. Tante, troppe, sono le situazioni di precarietà a cui sono consegnati i nostri giovani e non solo loro. Qui, in modo particolare, voglio dire la mia personale vicinanza ai tanti lavoratori in difficoltà e alle loro famiglie. In questi giorni, con insistenza, mi tornano alla mente le parole che, a Corinto, il Signore rivolse all’apostolo Paolo: «Non aver paura… perché ho un popolo numeroso in questa città» (At 18,9-10). Proprio alla luce di queste parole, ai credenti e ai non credenti, a chi appartiene alle differenti confessioni cristiane, a chi divide con noi la fede d’Abramo e a chi professa altre fedi, dico il desiderio grande d’incontrarvi e, come fratello, tendo la mano.
Francesco Moraglia
Patriarca di Venezia
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